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Storie
che tra il giugno 1893 e l'aprile 1895 pubblica una Cronica wagneriana
nazionalisti si dichiarano invece antiwagneriani, poiché il dramma music 1
wagneriano sembra essere un pericoloso concorrente dell'opera e del b ì
canto, simboli della tradizione musicale italiana. Il wagnerismo si manif
sterà ancora con forza nell'opera dello scrittore simbolista Gabriele D'An
nunzio, che nel suo romanzo II fuoco (1900) unisce l'esaltazione nietzschia
na dell'individuo, la potenza del superuomo, la speranza in una rigenerazione
dell'umanità e la fiducia nel ruolo redentore dell'artista, su basi antieguali-
tarie e autoritarie [Miller 1984].
In Russia il wagnerismo si sviluppa in un contesto politico totalmente
differente [Bartlett 1995; Glatzer Rosenthal 1984]. Le delusioni che ca-
ratterizzano la fine dell'Ottocento e la sconfitta della rivoluzione del 1905
favoriscono la nascita di due movimenti in apparenza contraddittori, ma
destinati a confluire col tempo: il populismo e la mistica dell'arte. Il popu-
lismo favorirà ovviamente l'affermarsi del marxismo, che porterà a sua vol-
ta alla vittoria dei bolscevichi nel 1917. Ma la corrente idealista e simboli-
sta si manifesta nel culto dell'arte. In un tale contesto, si vede in Wagner
il portavoce dello «spirito della musica», nel senso indicato da Nietzsche in
Die Geburt der Tragödie {La nascita della tragedia, 1871).
L'idea wagneriana di Gesamtkunstwerk sarà al centro delle preoccupa-
zioni per la gente di teatro, in particolare per Diaghilev con i suoi Ballets
russes. L'idea di un'opera d'arte totale si sposa con la concezione mistica e
religiosa del teatro, teorizzata da Ivanov, che tenta di promuovere l'unio-
ne della passione sessuale con l'esperienza religiosa e l'estasi. Nello scrive-
re llpoema dell'estasi e Prometeo, il compositore Aleksandr Skrjabin (1872-
1915) intendeva realizzare un Mysterium, cioè un tentativo di fusione tra
musica, colori e arti figurative nello spirito del Gesamtkunstwerk. Quest'ope-
ra rimasta incompiuta, per la quale però il musicista ha lasciato il testo com-
pleto e un gran numero di schizzi musicali, è un prodotto artistico tipico
del suo tempo, e si propone di contribuire a trasformare le dissonanze del-
la vita umana in un'armonia perfetta.
I rivoluzionari recuperano invece gli aspetti progressisti dell'opera di
Wagner. Essi non dimenticano che egli aveva partecipato ai moti di Dre-
sda a fianco di Bakunin, e vedono in Götterdämmerung una critica alla so-
cietà borghese. Il grande scrittore simbolista russo Aleksandr Blok tenta
una riconciliazione fra simbolismo e marxismo, tutto ciò con spirito aper-
tamente wagneriano. Egli fa riferimento al saggio di Wagner Arte e rivolu-
zione per scrivere a sua volta Musica e rivoluzione. Blok vedeva nel saggio
wagneriano l'equivalente estetico del Manifesto comunista di Marx. Cosi
scrive Blok: «Lo spirito è musica, ascoltate la musica della Rivoluzione con
tutto il cuore, lo spirito e il corpo». Il bolscevico Lunacarskij, Commissa-
rio del popolo per la cultura, vede nel Festspielhaus di Bayreuth il modello
di quelli che dovranno essere i teatri dopo il 1917: templi per celebrare la
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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nuova arte e la nuova società. Il desiderio di trasformare l'attività teatrale
in glorificazione degli ideali rivoluzionari si avvicina cosi alla funzione mi-
stica del teatro wagneriano.
Nella scia della corrente simbolista, il wagnerismo russo procede all'adat-
tamento delle idee di Wagner al contesto marxista. Mentre il wagnerismo
italiano è una corrente di destra, quello russo diventa un movimento di si-
nistra. E questa la dimensione progressista che lo scrittore britannico Ber-
nard Shaw riconobbe alla Tetralogia nel suo celebre saggio The Perfect Wag-
nerite [1898]: per Shaw il Ring è un'allegoria socialista. Al contrario, altri
wagneriani inglesi e americani preferiranno ammirare in Wagner il senso
imprenditoriale, la dimensione esoterica - coltivata da Ellis, il traduttore
dei suoi scritti - o celebrare nella sua arte la presenza dell'irrazionalità, del-
l'inconscio e dell'erotismo [cfr. Dzamba Sessa 1984].
E in Francia ? Si potrebbe qualificare il wagnerismo francese come idea-
lista e progressista. Ma il senso politico di questo progressismo variera se-
condo il periodo. Dato che Wagner appare come un riformatore dell'isti-
tuzione operistica, l'analogia con il progressismo politico conduce i musici-
sti che gli si oppongono a paragonarlo al rivoluzionario Marat o al filosofo
Proudhon. Tali erano i propositi dell'ultraconservatore Fétis. Quando nel
1861 Napoleone III ordina all'Opera di Parigi di rappresentare Tannhäuser,
non lo fa solamente per compiacere la principessa Metternich, ma anche
perché ciò è un modo per lanciare un segnale al partito liberale di sinistra
che sostiene Wagner e di cui egli cerca l'appoggio all'Assemblea nazionale.
Ma alla fine del secolo il wagnerismo viene a identificarsi con l'elitismo.
Chi sono in effetti i rappresentanti della corrente wagneriana a Parigi ?
Soprattutto scrittori e pittori che vedono in Wagner il prototipo dell'arti-
sta d'avanguardia [Guichard 1963]. La parola "avanguardia" non è qui in-
tesa in senso politico, ma in un senso puramente estetico. La fortuna di Wag-
ner in Francia sarà sostenuta da scrittori di grande qualità: Baudelaire, Ver-
laine, Mallarmé, per citarne solo alcuni, ma anche da importanti personalità
dell'epoca, soprattutto autori teatrali quali Edouard Dujardin, che dedica
a Wagner, «maestro del dramma moderno», il terzo episodio del suo ciclo
Antonia, e Edouard Schüre, che seguendo l'esempio di Wagner intende con-
cepire un dramma nazionale «conforme al genio francese».
Fra il 1885 e il 1888 appaiono i 31 numeri della «Revue wagnérienne»,
diretta da Dujardin, che si rivela nei fatti come una delle principali riviste
della corrente simbolista. Non è l'aspetto politico progressista a interessa-
re gli autori. Eppure questa rivista pubblica la traduzione di un articolo de-
cisamente sgradevole di Von Wolzogen, intitolato L'arte ariana. Ciò che del-
l'opera di Wagner interessa alla redazione è l'evocazione di un mondo idea-
le, inaccessibile e misterioso, in cui religiosità e ambiguità erotica vanno di
pari passo. La poesia di Paul Verlaine Parsifal, in cui l'opera di Wagner è in-
terpretata in senso omosessuale, è tipica di questo orientamento [«Revue
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Storie
fonante.articolo, Richard Wagne^^^^f
195-200], titolo ripreso da Paul Claudel nel i926 OueVtiX" U—' Pp-
sono interessanti in quanto testimoniano contemn^ lmi testi
arnie e la riluttanza dei due autori E^oSK^T^* l ammira-
« Può dire altrettanto dell'enorme £*^r£^^**
wagnemna che si diffonde in Francia tra il xSSo e7xof4 Le' ? ^ne
1963] ha recensito non meno di venti fra romanlíríV * a Guichard
di t emir Bourges, in cui una coppia di amanti fratello e sorenT f}
ascoltando la musica di W«gn«,7oUiWteCfeÄ! ^
oMr ¿« *»»»/** le pterres d'attente disseminate PC tutto 11 rZ' **
sono il corrispettivo letterario dei Leitmotive. Inoltre Proust dedil 7^°
positore dcune delle più belle frasi che siano ÏÏStAfr
~ «(««no si près,, facilmente ali."rapprese^ „e^Tcfe
quadro di Cézanne, che mostra
1). Egli avrà diversi imitatori, con «tili spesio diÉfenmti (<£."ïa^V
ra una fanciulla ;
»nnhäuser (ca. 186
Renoir per la stempera (1879) testimoniano l'impatto delle rappresa
pigine T^^^^^1^^^^^
la célele °gge^Uoddiani W*- ^v. 8-ro) e la pubbhc tà (efr tav S
turale oenetrannfn T j ,, X Le dlverse forme deI wagnerismo cul-
lale penetrano in ogm settore della società. Passeggiando per Venezia ver-
so la fine della sua vita, Wagner poteva ascoltare kpropria musica esegui-
Jn bel disco dell'Uri Ca:'
jadri e all'Hotel Metrot
Morte di Isotta», in cui gli archi e il pianoforte dialo-
go ,j„n L • ,' 7-e*"-* futcv'» ascoltare la e
t^e:™heT™ *«*•> bel disco dell'Uri (faine Ensemble [Caine
1QQ7I inricr, ci r^n~ r ££- ^v 1 . ,, uri '-aine ensemble [Caine
gano con la fisarmonica.
4 ■ / wagnerismi musicali.
41. I wagneriani volontari.
Seil
owi?m^Sm0 euUna COrrente culturale> ideologica, ovvero politica,
deve essileTn A ""** °ï C°rrente muskaIe- Ma «*PPu« quest'ultimo
re Su o rnen ft"10 "* í"?™00 omogeneo. In realtà ogni composito-
re più o meno influenzato da Wagner seleziona e sviluppa nel corpus delle
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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proprie opere gli aspetti che più si addicono alla propria estetica e alla pro-
pria personalità.
Il Sigurd di Ernest Reyer (1823-1909) viene messo in scena al Théâtre
de la Monnaie di Bruxelles il 7 gennaio 1884. Anche solo considerando la
data della prima rappresentazione o il fatto che il libretto si ispiri al Nibe-
lungenlied, oppure le analogie con Siegfried e Götterdämmerung (i personag-
gi si chiamano Günther, Hagen, Brunehild), ci si troverebbe comunque di
fronte all'esempio più significativo di imitazione wagneriana in un compo-
sitore francese. Ma Reyer aveva cominciato a stendere l'opera nel 1864. In
realtà il soggetto trattato da Wagner nella Tetralogia era già nell'aria, co-
me testimoniano sia la presenza del Nibelungenlied nella lista dei progetti
di Schumann (datata dicembre 1840) sia il progetto di Friedrich Theodor
Vischer per un'opera sulla saga dei Nibelunghi, pubblicato nel 1844 [cfr.
Breig e Fladt 1976, pp. 16, 19-24]. Tuttavia, la composizione di Sigurd si
prolungherà per un periodo di vent'anni; inoltre, in questo «Walhalla alla
francese», secondo la bella definizione di Steven Huebner, si riscontra una
fitta trama di Leitmotive. Ma anche se Reyer ammetteva di conoscere le ope-
re wagneriane fino al Lohengrin, egli si diceva «sconcertato» dalla partitura
del Tristan, e Huebner ha ben mostrato che le influenze musicali su di lui
sono piuttosto da ricercare nell'opera di Berlioz [Huebner 1999, pp. 169-94].
La data tardiva (7 maggio, 1888) della prima rappresentazione all'Opé-
ra-Comique del Roi d'Ys di Edouard Lalo (1823-92), la cui composizione
era stata ultimata nel 1878, non deve invece far credere che vi si riscontri
l'influenza dell'ultimo Wagner. Siamo qui di fronte a una delle manifesta-
zioni di quel frequente fenomeno che Jürgen Maehder ha ben definito «ri-
cezione non cronologica» [1999, p. 601]. Infatti, cosi come la reminiscen-
za del coro dei pellegrini nel!'ouverture del Tannhäuser ne è il primo segna-
le, le scene di massa, la grande aria di Margared nel secondo atto, cosi vicina
a quella di Ortrud in Lohengrin, e le frequenti fanfare, testimoniano nel re-
sto dell'opera l'influenza del secondo periodo wagneriano. Ma Le Roi d'Ys
è ancora un'opera a numeri chiusi, anche se la musica scorre senza interru-
zione. Lalo si diceva piuttosto sopraffatto dalla potenza dell'opera di Wag-
ner, e sembra che siano stati i wagneriani a fare di lui un «wagneriano suo
malgrado». Lalo, lontano da ogni estremismo, non desiderava essere asso-
ciato a una corrente musicale in particolare e si augurava la nascita di un'ope-
ra che andasse oltre l'esperienza wagneriana, ciò che fa pensare fortemen-
te al futuro Pelléas. La sua opera e il suo atteggiamento documentano dun-
que l'ambivalenza di alcuni compositori francesi - come sarà il caso di
Debussy - di fronte a Wagner, modello ed esempio imprescindibile da cui
allo stesso tempo vogliono prendere le distanze [Huebner 1999, pp. 231-51].
Tre compositori francesi si dichiarano apertamente wagneriani: Em-
manuel Chabrier (1841-94), Vincent d'Indy (1851-1931) ed Ernest Chaus-
son (1855-99). I l°ro drames lyriques, secondo la terminologia adottata al-
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l'epoca, dimostrano il ruolo centrale avuto dal Théâtre de la Monn i
Bruxelles dopo che vi furono rappresentate la Gwendoline di Ch *U-
(1885) Ü io aprile 1886, il Fetvaaldi d'Indy (1889-95) il 12 marzo 18
LeRoiArthus di Chausson (1886-95) Ü 3° novembre 1903. Con questi \^ C
ri il principio dell'opera come flusso musicale continuo, senza suddivis^
in arie e numeri chiusi, s'impone stabilmente nella composizione ODer'0""6
ca. Questo principio segnerà sia le ultime opere di Verdi - Otello, 1887 *
ch'esso definito "dramma lirico", e Falstaff, 1893 - che il Pelléas et Mi'
sande (1893-1902) di Debussy, Ariane et Barbe-bleue (1899-1906) di Pa Î
Dukas, Wozzeck (1917-22) e Lulu (1929-35) di Berg, oltre alla gran parte
delle opere di Richard Strauss composte dal 1892 al 1942, e a tutte le one
re dell'epoca moderna, dal xx secolo a oggi.
Rivolgendosi ai francesi, Wagner dichiara:
Voi avete capito che io non ero solo un autore di libretti e partiture, ma che dal-
le mie opere si sprigionava soprattutto un principio di emancipazione teatrale e di
riforma drammatica adattabile al carattere di ogni nazione [Fourcaud 1886, cit. in
Wagner 1943, p. 56].
Affrontando la questione nazionale, egli afferma:
L'essenziale [...] è che il vostro teatro venga posto su quella strada della logica
e della verità verso cui ho avviato il teatro musicale della mia patria. Credetemi: se
in questa fine di secolo i poeti, i musicisti, i pittori, gli artisti di ogni sorta hanno
realmente a cuore l'adempimento di una nobile missione, essi devono fare in modo
di restituire a tutte le arti il loro carattere nazionale [ibid., p. 57].
La prima preoccupazione di un compositore francese deciso ad allontanarsi dal
solco della tradizione deve essere quella di procurarsi un testo poetico semplice,
umano, espressivo e soprattutto conforme allo spirito della sua nazione. [...] Attin-
gete dunque al repertorio delle vostre leggende, che sono numerose e di una ric-
chezza infinita. Leggete i poemi del Medioevo, le vostre chansons de geste, o meglio
i vostri romanzi cavallereschi; essi formano il prodotto intellettuale più puro del vo-
stro patrimonio culturale [ibid., p. 58].
Wagner lancia poi un appello che sarà più tardi raccolto da d'Indy e
Chausson:
Gli Orlandi, gli Artú, i Cavalieri della Tavola Rotonda, i paladini dei vostri an-
tichi autori popolari possiedono in primo luogo la statura epica e lirica e le idee che
incarnano - idee di diritto, giustizia, lealtà, carità, amore, che sono in prima istan-
za fra quelle che meglio si prestano a essere cantate [ibid., p. 59].
Egli prosegue con un vero e proprio compendio d'arte poetica, nel qua-
le riassume con forza tutte le idee che stanno alla base della sua riforma
dell'opera e della sua concezione del rapporto fra dramma e musica.
E cosi d'Indy ambienta il suo Fetvaal nelle Cevenne e nel Mezzogiorno
della Francia, e Chausson trae spunto dalla leggenda dei Cavalieri della Ta-
vola Rotonda per Le Roi Arthus (e Le Roi d'Ys di Lalo porta il sottotitolo di
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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«leggenda bretone»). Va notato che un compositore inglese, Rutland Bough-
ton (1878-1960), il quale pubblicò nel 1911 un saggio significativamente
intitolato Music Drama of the Future, tentò di combinare l'eredità wagne-
riana con l'impiego del corale inglese (per cui propose il termine di choral
drama). Egli si cimentò nella composizione di un ciclo di cinque opere (an-
ch'esse basate sulla leggenda arturiana), tre delle quali vennero rappresen-
tate fra il 1920 e il 1934 [Hurd 2001].
La principale opera di d'Indy, Fervaal{ 1889-95; rappresentata nel 1897)
è stata spesso definita il Parsifal francese. In effetti, cosi come Parsifal op-
pone la Spagna gotica alla Spagna araba (cfr. le didascalie del primo atto),
d'Indy, autore come sempre del libretto di questa sua opera, sceglie la lot-
ta fra Celti e Saraceni, questi ultimi presi come sintesi tardo-ottocentesca
a indicare tutte le stirpi semitiche. Notevoli sono gli appelli alla guerra san-
ta di Guilhen in nome di Allah, con cui termina il primo atto. Le remini-
scenze del Parsifal sono numerose sul piano drammatico: come Kundry,
Guilhen è una specie di maga di sangue arabo che, col sacrificio della pro-
pria vita, mostra a Fervaal la via dell'amore, quando poco mancava che ve-
nisse meno al suo giuramento, e loda «l'eterna rinuncia al fascino impuro
della donna! » (atto I, scena 1). Una tematica al contempo antisemita e mi-
sogina, tipicamente wagneriana. Ma è soprattutto nello stile musicale che
d'Indy si dimostra vicino al modello tedesco, per esempio nella scrittura
cromatica della linea di canto (cfr. fig. 2).
Il wagneriano d'Indy supera il maestro. Nella sua scrittura armonica, il
cromatismo è talmente esacerbato che, per quanto questa musica resti to-
nale, è difficile trovare dei punti di stabilità (cfr. fig. 3).
E si dovrebbero ancora analizzare dettagliatamente l'uso personale del
Leitmotiv [Schwartz 1999, pp. 155-237] e il suo contributo all'espansione
dell'orchestra wagneriana [ibid., pp. 238-99, in particolare la tavola di p. 251].
La scrittura di d'Indy giustifica appieno il punto di vista di Elliott
Zuckermann [1964], che a buon diritto ha proposto il termine "tristani-
smo" per indicare specificamente l'influenza musicale di Wagner. Que-
st'ultima è particolarmente evidente in Le Roi Arthus, in cui Ernest Chaus-
son dimostra un'assimilazione perfetta dello stile di Tristan, al punto che si
ha l'impressione di ascoltare il pregevole pastiche di un allievo molto dota-
to. Oltre al Tristan-Akkord, in quest'opera si riscontrano analogie con spe-
cifici passi di altri lavori wagneriani: la musica del Graal nel Parsifal, gli ar-
chi della «Cavalcata delle Valchirie», il risveglio di Briinnhilde, il riaversi
di Siegfried in Götterdämmerung, la fine del secondo atto di Siegfried, il co-
lore scuro dell'orchestrazione di Götterdämmerung, l'invocazione di Fafner
nella grotta, i corni del Tarnhelm, le grida di dolore di Kundry, i cori cele-
sti del Parsifal, i bagliori dell'Incantesimo del fuoco... Sarebbe necessaria
una lunga e paziente analisi per determinare se, come afferma Huebner, ci
troviamo di fronte a reminiscenze, a citazioni con funzione drammatica, ad
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io86 Storie
Figura 2.
V. d'Indy, Fervaal, atto I, scena I.
Figura 3.
V. d'Indy, Fetvaal, atto I, scena i.
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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ammiccamenti verso gli intenditori, oppure alla manifestazione della par-
tecipazione a una battaglia estetica [Huebner 1999, p. 243].
Gwendoline di Chabrier testimonia ciò che il wagnerismo ha prodotto
di più fecondo nella storia della musica. È certo che l'influenza di Wagner
vi si avverte di continuo. L'orchestrazione dell'ouverture è degna di quella
di Tannhäuser, a partire dal numero 20, le lunghe frasi e i tremoli degli ar-
chi fanno da tappeto sonoro a trombe e tromboni. Nel primo atto si rico-
noscono in Gwendoline gli slanci vocali di Brünnhilde; nella prima scena
del secondo atto si ritrova lo stile "recitativo"; nella scena finale vi è un
montare della tensione degno di Tristan. Ma per alcuni aspetti Chabrier cer-
ca di non imitare Wagner. L'opera ha dimensioni ragionevoli, secondo la
norma francese: un primo atto di 53 minuti, un secondo di un'ora; vi si ri-
conosce a tratti l'autore della «Fête polonaise» di Le Roi s'amuse; la scena
finale ricorda quella della trasfigurazione di Der fliegende Holländer, ma qui
la catastrofe non ha la morbosità dei finali wagneriani. Il dramma lirico
francese d'ispirazione wagneriana è riuscito in questo caso a combinarsi con
le qualità specifiche dell'opera francese, in particolare con la sua concisio-
ne e la sua trasparenza [cfr. ibid., p. 268].
4.2. L'esplosione dell'influenza wagneriana.
I compositori dotati di più forte personalità assimileranno alcuni tratti
della scrittura wagneriana, senza però "rifare Wagner".
Nell'ultimo capitolo del suo saggio dedicato all'influenza di Wagner sul-
la musica francese, d'Indy non esitò a parlare di «trent'anni di progresso
dovuto all'affermazione wagneriana in Francia» e a fornire una lista in cui,
oltre alle opere di cui abbiamo già parlato, cita Le Rêve di Alfred Bruneau
(1890), Yolande (1891), Guercceur (1900) e Bérénice (1909) di Albéric Ma-
gnard, le altre opere proprie - L'Étranger (1898-1901), Le Chant de la cloche
(1879-83) e La Légende de St. Christophe (1908-15) -, Louise (1889-96) di
Gustave Charpentier, Ariane et Barbe-bleue (1899-1906) di Paul Dukas,
Eros vainqueur (1905) di Pierre de Bréville, Le Pays (1910) di Guy-Ropartz
e Pelléas et Mélisande di Debussy [d'Indy 1930, p. 66]. Quest'ultimo non
avrebbe certo gradito di vedersi arruolato sotto il vessillo del wagnerismo.
Questo indiscutibile progresso dovuto all'influenza wagneriana, senza mostra-
re una servile imitazione, ma presentando al contrario la forza e la vitalità dello spi-
rito francese, si manifestò tramite opere quasi tutte di valore, e tutte decisamente
orientate verso un luminoso ideale di Bellezza e Amore [d'Indy 1930, pp. 65-66].
Per le proprie opere e per quelle di Magnard, Charpentier e Chausson,
d'Indy sottolineava il fatto che seguendo l'esempio di Wagner il musicista
aveva anche steso il libretto. Ma ciò è sufficiente per fare di questi lavori
delle opere wagneriane ? Si, ma alla condizione di distinguere fra i tratti as-
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Storie
sunti dallo stile e dall'universo wagneriano e le altre influenze, in part-
lare quelle derivate dall'opera francese (Massenet, Gounod, Saint-Saën T°"
relazione alla personalità dei singoli compositori, come Steven Huebn "•
è sforzato incessantemente di dimostrare nel suo notevole lavoro Fr^ a
Opera and the "Fin de siècle" [1999]. Ma a loro volta nemmeno Massen
Gounod e Saint-Saëns furono immuni dall'influenza wagneriana: in EscL '
monde di Massenet, rappresentata nel 1889, il motivo di Charlotte corno'
re ben in volte [ibid., p. 95; sul tema dei tratti wagneriani in Massenet
cfr. ibid., pp. 87-101; Döhring 1999].
In effetti, ciò che colpisce quando si ascoltano queste opere è che Was
ner vi si avverte molto meno che non in Le Roi Arthus o Fervaal. Il flusso
musicale ininterrotto, il principio della melodia continua, l'impiego più o
meno sistematico di motivi ricorrenti, la tecnica dell'orchestrazione, la scel-
ta di soggetti drammatici e l'attenzione maggiore per i libretti (sia che il
musicista ne fosse l'autore, o che si rivolgesse a scrittori più validi di Meilhac
e Halévy, come per esempio Catulle Mendès per Gwendoline, o Maeterlinck
per Debussy e Dukas) segnalano l'influenza decisiva di Wagner sull'opera
francese, almeno fino al 1906, quando Dukas pose fine alla composizione di
Ariane etBarbe-bleue, opera in cui l'influenza di Debussy è avvertibile dal-
l'inizio alla fine.
Ma ormai lo stile musicale wagneriano vi è unito ad altri tratti, tanto da
risultare in ultima analisi secondario. È il caso di Louise (1889-96, rappre-
sentata nel 1900) di Gustave Charpentier, in cui a evidenti reminiscenze
- forse citazioni - della Tetralogia, ma soprattutto di Parsifal, si affianca lo
stile di Massenet, in un contesto drammatico che non è più quello delle leg-
gende e dei miti cari a Wagner, bensì quello di un mondo realistico ispira-
to alle tematiche sociali di Zola - il compositore ha del resto intitolato l'ope-
ra «romanzo musicale» - tematiche che si ritrovano anche nelle opere di Al-
fred Bruneau [Huebner 1999, pp. 395-411, 436-55].
La figura di Giuseppe Verdi (1813-1901)0 stata certamente troppo in-
gombrante per permettere che la marea wagneriana lasciasse in Italia un'im-
pronta tanto forte quanto quella che si ritrova nelle opere di Chausson e
d'Indy, anche se Ernö Lendvai [1988], attraverso una sofisticata tecnica
d'analisi, è riuscito a trovare analogie armoniche fra Wagner e Verdi, che
però bisognerebbe riesaminare secondo l'ottica della genesi storica. Eppu-
re è esistito un wagnerismo italiano esplicito, per quanto meno sviluppato
che in Francia. Ruggero Leoncavallo (1857-1919) ne è la figura più signifi-
cativa [Maehder 1999]. Spesso ci si dimentica che un anno dopo la compo-
sizione di Pagliacci (1892), con cui pagò il suo tributo al verismo, nel ten-
tativo di contrastare il successo di Cavalleria Rusticana Leoncavallo fece rap-
presentare a Milano Crepusculum, prima parte di un «poema epico in forma
di trilogia storica», ¡Medici. Il progetto non fu portato a termine, poiché
questa prima parte, che metteva in scena Savonarola e Cesare Borgia, si ri-
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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velò un fiasco. Il compositore riconobbe di buon grado l'influenza eserci-
tata su di lui da Wagner e dai suoi programmi:
Il titolo generale della Trilogia mi viene dall'ultima parte della Tetralogia di
Wagner: Il crepuscolo degli dei. [...] Solo dirò che, fedele alle massime del sommo di
Bayreuth, cercai di fare il poema nazionale e quindi volli che un gran sentimento
d'italianità aleggiasse costante nell'aura musicale del poema [«La Sera», 15-16 ot-
tobre 1893, cit. ibid., p. 590].
Inoltre, a imitazione di Wagner, Leoncavallo compose egli stesso il libretto
delle sue sei prime opere, e lo stile di Crepusculum - proprio come quello di
Huit de Mai, un poema sinfonico eseguito solo nel 1990 - testimonia di un
«sinfonismo wagneriano» [Maehder 1999, p. 597], là dove egli adotta il co-
lore orchestrale del maestro tedesco, non esitando a ricorrere al corno ingle-
se, al clarinetto basso, agli oficleidi, al basso tuba. L'opera si apre con evi-
denti reminiscenze della musica del Venusberg di Tannhäuser [ibid., p. 604].
Ma alla fine dell'Ottocento nessuno degli operisti wagneriani, in Fran-
cia o in Italia, aveva una personalità musicale tanto forte quanto quella, per
esempio, di un Verdi, e comunque sufficiente a imporsi nella scia di Wag-
ner. Con il suo notevole Nerone (1877-1915), di cui lo scrivente deplora
profondamente la mancanza sulle scene, Arrigo Boito (1842-1918) avreb-
be potuto diventare il compositore italiano capace di creare una sintesi fra
la tradizione lirica del suo paese e le innovazioni wagneriane [Gallia 1986].
Ma egli non portò a termine l'ultimo atto, mentre l'orchestrazione dei pri-
mi quattro venne completata da Vincenzo Tommasini e Arturo Toscanini.
L'opera, che richiedeva un profluvio di scene, coristi e comparse, venne
rappresentata solo nel 1924, quando era ormai troppo tardi perché essa (for-
se l'unica opera a esordire con un coro a cappella) potesse esercitare un'in-
fluenza sullo sviluppo della musica italiana.
È comprensibile poi che nei paesi di lingua tedesca non vi fosse un ve-
ro e proprio wagnerismo incarnato in una produzione operistica. Il succes-
so delle opere di Wagner pesava troppo: quando Engelbert Humperdinck
1854-1921) si cimenterà nella composizione di dieci opere, metterà in mu-
sica esclusivamente delle fiabe, e solo il Singspiel Hansel und Gretel (1893)
è rimasto in repertorio. Humperdinck aveva collaborato con Wagner alla
stesura di Parsifal nel 1882, e aveva composto, all'ultimo minuto, la musi-
ca del cambiamento di scena del terzo atto ! Ciò significa che aveva assimi-
lato i tratti stilistici wagneriani al punto che il maestro gli chiese di sosti-
tuirlo [Denley 2001]. Quanto alle diciassette opere - fiabe anch'esse - di
Siegfried Wagner (1869-1930), allievo di Humperdinck nella composizio-
ne e, sulle orme del padre, autore dei propri libretti, si può affermare che
non hanno lasciato alcuna traccia, anche se tredici furono rappresentate, e
se due di esse, Der Bärenhäuter (1899) e An allem ist Hütchen Schuld (1917),
conobbero un certo successo [Sheren 2001].
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Nei paesi influenzati dalla cultura tedesca, il wagnerismo si manifesta So.
prattutto nella musica sinfonica. La tecnica compositiva wagneriana (espan-
sione del cromatismo, prolungamento della melodia, ritardo della risolu-
zione sulla tonica) favorisce un'estensione inedita dei movimenti sinfonici,
in cui si dispiega la ricchezza sonora di un'orchestra sempre più ampia. Le
sinfonie di Dvorak risentono dell'influenza di Tannhäuser. Nella Moldava
di Smetana, le ondulazioni degli archi ricordano il preludio del Rheingold.
Anton Bruckner è senza dubbio il sinfonista wagneriano per eccellenza. È
come se egli si fosse fatto carico di continuare il progetto di dedicarsi al-
la composizione sinfonica (WWV 107), concepito da Wagner negli ultimi an-
ni di vita, fra il 1874 e il 1883, ma non portato a compimento. Del resto lo
stesso Bruckner sottolineò l'influenza che Wagner ebbe su di lui, dedican-
dogli la sua Terza Sinfonia e intitolandola Wagner-Symphonie. Bruckner riu-
scì però a crearsi uno stile del tutto personale, che gli permise di essere ben
di più di un semplice epigono. A tal riguardo, l'Andante della Settima Sinfo-
nia, che si dice ispirato dalla morte di Wagner, non è immune dall'influenza
di Parsifal. Sulla scia di Wagner, Bruckner introdusse una terza tromba nel-
la Terza Sinfonia, un basso tuba nella Quarta, quattro tube wagneriane nella
Settima, e triplicò i legni nell'Ottava e nella Nona. Si trova un solo esem-
pio del prolungamento melodico tipico dell'influenza wagneriana: nello
Scherzo della Settima Sinfonia, il do della battuta 1 raggiunge la tonica so-
lo alla battuta 248 [Meyer 1973, p. 205]. Si può poi affermare che gli stili
propri di Richard Strauss e Gustav Mahler non sarebbero stati quello che
sono divenuti senza la profonda influenza di Wagner, in particolare per ciò
che concerne l'orchestrazione (sulle sinfonie «fin-de-siècle», cfr. in questo
stesso volume il saggio di Peter Franklin Le sinfonie fin-de-siècle, pp. 1050-
1064).
Bisogna iscrivere anche Schönberg tra i seguaci di Wagner? Le sue pri-
me opere sono tipici prodotti del post-romanticismo di stampo wagneria-
no. E quasi un luogo comune vedere nel Tristan-Akkord (cfr. fig. 1) il pri-
mo gesto musicale che porterà alla sospensione della tonalità, anche se Wag-
ner non ha mai spinto il linguaggio tonale fino al punto di rottura. Dopo
Nuages gris (1881), dalla tonalità per lo meno incerta, Liszt, cosí vicino a
lui, scriverà nel 1885 una Bagatelle, sans tonalité. Si è talvolta rammentato
che la citazione dell'accordo di Tristano nella Lyrische Suite (1925-26) di
Alban Berg possa essere stato un omaggio di uno dei grandi maestri della
scuola atonale e seriale ai nuovi orizzonti dischiusi da Wagner.
5. Dal wagnerismo al debussismo.
L'opera di Debussy (1862-1918) mostra chiaramente come l'influenza
wagneriana, pur presente in modo innegabile, non abbia soffocato l'affer-
Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, il debussismo
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piarsi di una personalità originale che segnerà anch'essa l'evoluzione della
musica e aprirà la strada a nuove possibilità.
Debussy appartiene solo in parte alla storia del wagnerismo, basti pen-
sare alle sue violente prese di posizione antiwagneriane. Egli parla a questo
riguardo di «qualche sfibrato capolavoro», attribuisce a Wagner l'inven-
zione del Leitmotiv guida, definisce la sua orchestra «mastice multicolore»,
' e schernisce il «maestoso, vuoto, insipido Wotan» [Debussy 1987, trad. it.
PP- 35> I3l- Ma, come la maggior parte dei francesi suoi contemporanei,
egli non è impermeabile alla moda e allo stile wagneriani, soprattutto in al-
cune delle sue opere giovanili. Non è dunque un caso se i letterati entusia-
sti di Wagner aderiranno all'universo artistico di Debussy: Baudelaire, Ver-
laine, Mallarmé e Villiers de 1'Isle-Adam, di cui Debussy progetta di musi-
care il dramma simbolista Axel, considerato da molti permeato di tematiche
wagneriane. Tra il 1907 e il 1910, Debussy coltiva perfino l'idea di com-
porre una Histoire de Tristan. Egli riconosce il genio wagneriano e parla del-
la «suprema bellezza» della musica di Parsifal [ibid., trad. it. p. 92]. E chiun-
que abbia ascoltato i Cinq poèmes de Baudelaire del 1887-89, che risento-
no del "tristanismo", di cui si è appena parlato, e gli interludi degli atti I e
II del Pelléas, può capire che egli sarebbe stato molto ingrato se non aves-
se ricordato nel 1903 «quell'epoca, in cui ero wagneriano fino al punto di
dimenticare i più elementari principi della buona creanza» [ibid., trad. it.
p. 31]. Ma per quanto Maurice Emmanuel [1926] abbia identificato in Pel-
léas tredici motivi ricorrenti, Debussy non abbracciò mai il sistema dei Leit-
motive.
Proprio come in Wagner, il profondo cambiamento del linguaggio mu-
sicale al quale Debussy è cosciente di aderire s'iscrive nella trama dell'an-
tagonismo franco-tedesco precedente la prima guerra mondiale.
Se la musica drammatica soffre al giorno d'oggi [egli scrive il 1 ° novembre 1913]
ciò è dovuto al fatto che essa ha male interpretato l'ideale wagneriano e ha voluto
trarne una formula inaccettabile per il nostro popolo. Wagner non è un buon pro-
fessore di francese [Debussy 1987, p. 247].
A ben guardare, Debussy si situa agli antipodi di Wagner. Nel duetto
d'amore dei due protagonisti, nel quarto atto di Pélleas et Mélisande, Pel-
léas sussurra «Je t'aime». «Je t'aime aussi» risponde Mélisande. «Oh! qu'as-
tu dit, Mélisande! Je ne l'ai presque pas entendu! » E in quel preciso istan-
te, laddove in Tristan und Isolde Wagner avrebbe scatenato un dilagare di
sequenze armoniche e di accordi di settime diminuite, l'orchestra di De-
bussy tace. Mai silenzio è stato cosi intenso.
Per Debussy, esattamente al contrario di ciò che riteneva d'Indy, «bi-
sognava cercare oltre Wagner e non secondo Wagner» [ibid., p. 63]. Certa-
mente, un'attenta analisi come quella intrapresa da Robin Holloway [1979]
mostra nel Pelléas la presenza di «minuzie wagneriane», nonché una certa
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Nattiez L'universo wagneriano, i wagnerismi, 0 debussismo
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influenza in Jeux (a mio parere impercettibile); ma bisogna comunque sot-
tolineare che, quando nel 1893 cominciò a comporre la sua opera, Debus.
sy era già in possesso di uno stile del tutto personale, ben evidente nel Pre\
lude aï après-midi d'un faune del 1894. Mallarmé ne saluta la novità radi-
cale ed evoca «la luce che Debussy vi farà risplendere».
Troppo legato al concetto di libertà, propria e altrui, Debussy non vuo-
le proclamarsi capo di un nuovo partito artistico.
Non ci sono più discepoli [egli dichiara nel febbraio 1908]. Non ci sono nem-
meno più capi-scuola che possano influenzare la produzione dei musicisti della ge-
nerazione successiva alla loro [1987, p. 281].
Pertanto, dopo Pelléas critici e musicologi parleranno di «debussismo»
[Lalo 1907; Laloy 1910]. Se il concetto è possibile, è perché i suoi contem-
poranei sono coscienti della specificità e della novità del suo linguaggio.
In realtà il linguaggio di Debussy è il risultato di molte influenze: quella
di Wagner senza dubbio, ma anche quella della musica da ballo del xix se-
colo, di Emmanuel Chabrier, delle musiche "esotiche" (la scala per toni in-
teri, o cinese, il gamelan indonesiano, il folklore spagnolo), dei composito-
ri russi, in particolare Musorgskij, e soprattutto di Gabriel Fauré. Nel suo
Traité de l'harmonie nouvelle [1913], René Lenormand colloca fin dalla pri-
ma pagina la modernità musicale francese nel contesto dell'antagonismo con
la Germania:
In questa ricerca di formule nuove, ogni popolo sembra voler affermare il pro-
prio genio nelTaffrancarsi dall'arte tedesca [ibid., p. i].
Sono queste nuove formule che faranno nascere il debussismo, definito
da Lenormand come il precursore della cosiddetta «scrittura d'ispirazione
moderna» [ibid., p. 6]. A suo parere il 30 aprile 1902, data della prima rap-
presentazione di Pelléas et Mélisande, segna un confine nella storia dell'ar-
te; il precursore di questa novità sarebbe incontestabilmente Gabriel Fauré.
Quali sono i tratti specifici che si ritrovano già nelle opere di Fauré?
L'utilizzo di quinte parallele, la concatenazione per movimenti congiunti
degli accordi di settima, la risoluzione estremamente libera dei medesimi
accordi, le concatenazioni per gradi congiunti degli accordi di nona, o l'al-
lusione per qualche accordo a tonalità lontane tramite lo spostamento del-
la fondamentale. A tutto ciò Debussy aggiunge la scala a toni interi, o ci-
nese, il ricorso al pentatonismo, ai modi arcaici, l'evitare il riposo sulla to-
nica
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